Che cos'è la sostenibilità.

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Sostenibilità, sostenibile. Due vocaboli che negli ultimi anni hanno subito una forte inflazione. Li si incontra sempre più spesso all’interno di dibattiti istituzionali o di pubblicazioni economiche e scientifiche, e tutti sicuramente hanno chiaro il loro significato immediato.

 

Alla voce sostenibilità, il buon vecchio Zingarelli della lingua italiana non fornisce alcuna definizione.

Alla voce sostenibile, invece: “che si può sostenere”.

 

È inequivocabile, quindi, la relazione semantica tra il verbo sostenere e le voci sostenibilità e sostenibile.

Ciò che però non è rintracciabile su un dizionario di lingua, è la connotazione specifica che il termine sostenibilità (e conseguentemente l’attributo sostenibile) ha assunto nell’ambito delle scienze geopolitiche in tempi relativamente recenti.

 

Che cos’è, dunque, la sostenibilità?

 

La definizione del nuovo profondo significato di questo termine, è rintracciabile in un rapporto stilato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) e consegnato alle Nazioni Unite nel 1987, intitolato Our Common Future e noto come Bruntland Report (tradotto in italiano nel 1988 con il titolo Il titolo Il futuro di tutti noi - Rapporto Bruntland).

 

Lo studio, commissionato e presieduto da una donna, la norvegese Gro Harlem Bruntland (presidente della WCED dal 1983), benché redatto in un periodo di grande espansione economica, evidenzia la necessità di regolare lo sfruttamento delle risorse del pianeta secondo una prospettiva di salvaguardia dell’ecosistema.

 

Il modello di sviluppo umano, infatti, fino almeno agli anni ottanta, si è basato sullo sfruttamento massivo di risorse non rinnovabili (petrolio, minerali, etc.) senza considerare l’impossibilità di risanamento delle riserve; oppure di risorse rinnovabili (acqua, foreste, terreni coltivabili, etc.) trascurando però i tempi di rigenerazione delle stesse.

La crescita improntata su questo modello ha configurato un pianeta impoverito, le cui risorse, sempre più prossime all’esaurimento, risultano altresì compromesse a causa dell’inquinamento.

 

A fronte di questo scenario desolante, la Commissione Bruntland delinea una prospettiva ben precisa che definisce insostenibile una linea di sviluppo illimitato basata sul mero sfruttamento. Ed è in opposizione a questo sistema deleterio per il pianeta, ma anche –e soprattutto- per i suoi abitanti, che viene affinato il concetto di sviluppo sostenibile.

Nel testo inglese, lo sviluppo sostenibile viene definito “Development that meets the needs of the present without compromizing the ability of future generation to meet their own needs”, ovvero Sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro.

La variabile che viene introdotta al semplice concetto del “si può sostenere” (perché si hanno le risorse per farlo), è quella temporale: ciò che si può impiegare oggi, deve essere disponibile all’impiego in egual misura in futuro. Ciò equivale a dire che le possibilità di sviluppo devono essere calibrate non solo in funzione di un benessere immediato, quanto in virtù di una capacità di impiego durevole.

 

La formulazione del principio di Sviluppo Sostenibile, come da Rapporto Bruntland, viene ribadita cinque anni più tardi al Vertice della Terra di Rio de Janeiro. È infatti il giugno del 1992 quando 183 capi di stato, 700 rappresentanti di organizzazioni non governative, e migliaia di rappresentanti della società civile, si riuniscono al Summit di Rio per riflettere sulla diagnosi dello stato di salute del pianeta, e, per la prima volta, per approvare un piano d’azione volto a limitare e contrastare il degrado incombente: l’Agenda 21.

Assimilando le indicazioni del Rapporto Bruntland, l’Agenda 21 traccia le linee direttrici per uno Sviluppo Sostenibile, uno sviluppo che soddisfi le necessità del presente senza ledere le possibilità delle generazioni future.

Il principale progresso teorico raggiunto a Rio (le cui basi furono gettate a Stoccolma nel 1972, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano), è quello di riconoscere un legame indissolubile tra ambiente e sviluppo. Il modello di crescita illimitata viene messo al bando e il concetto di povertà viene messo in relazione al degrado ambientale.

 

In conclusione, dagli anni novanta in poi, quando si definisce qualcosa sostenibile, si fa riferimento al criterio di sostenibilità, ovvero quel principio secondo il quale lo sviluppo è sensato solo quando l’ecosistema non patisce la sottrazione di risorse nel tempo e non incorre nell’impoverimento.